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Animali

Il Levriero


Levriero da corsa in allevamento ~
PHOTO: Martin Usborne

Ho trovato questo racconto, grazie all’amica FB Martina Confalone, e alla Pagina FB Galgos de La Mancha. Una tragedia che riguarda in particolar modo la Spagna.

Un giorno finirà la barbarie sugli animali, che non riguarda solo i cani da corsa, purtroppo. Quello che possiamo fare noi umani è batterci per questi schiavi, per gli animali sfruttati, da bestie senza cuore che non hanno nemmeno la decenza di alleviare le sofferenze, ma sfogano il loro sadismo. Finirà questa barbarie, ma dobbiamo metterci un pò di impegno, di tempo. Condividete, fate un vostro post, parlatene, e se vedete situazioni gravi o sospette intervenite. Riguarda anche noi, ne va della nostra umanità.


′′Ho iniziato a morire il giorno in cui sono nato. Sono un levriero, il cane più veloce del mondo, una vera tragedia per la nostra razza in questo Paese (la Spagna, ndr).

La mia esistenza è stata una morte lenta e sfacciata dal giorno in cui sono nato. Sono sopravvissuto appena 3 anni essendo di proprietà di un cacciatore. So che ci sono eccezioni, che non tutti i cacciatori sono uguali, ma a me è toccato uno senza scrupoli. Ogni settimana ci legava al collo dietro il suo quad per ′′allenarci”, ma vi assicuro che quello non era un allenamento, quella era una tortura in ogni regola. Una tortura spietata e di cui tutti temevamo, probabilmente più della morte stessa. Ricordo che mio fratello cadde e lo trascinava, non si fermò immediatamente. Poverino non è sopravvissuto all’allenamento e non si è nemmeno preoccupato di colpirlo con proiettili, lo ha buttato in un pozzo senza alcun sguardo. Respirava ancora. Avevo poco più di due anni.

A me e agli altri sei fratelli faceva male la vita. Sì, la vita fa male, probabilmente più della morte. Ci faceva male la nostra triste esistenza, i giorni erano pesanti, e non sono mai passati. Ore, giorni, mesi eterni in cui a poco a poco ci si spegneva l’anima, lo sguardo si rattristava e il corpo si ammalava. Legati ad una catena all’interno di un tugurio dove appena entrava la luce, con pochissimo cibo, e nemmeno quello a volte; non ci è mai stato permesso di essere cani, eravamo strumenti di caccia. Strumenti di caccia da usare e buttare. E naturalmente, senza anima.

È arrivato un giorno in cui non ero più così veloce: avevo i cuscinetti della zampe in carne viva, mi facevano male tutte le ossa del corpo ormai emaciato, e non mi sentivo più la forza di essere legato di nuovo al quad spaventoso, neanche una sola volta di più. Né il mio collo né il mio corpo resistevano ad altre atrocità. Avevo l’umidità del posto in cui vivevamo, radicata nelle ossa da mesi, e già sentivo dolori anche non muovendomi. E poiché ero considerato una macchina da corsa, la mia esistenza angosciante era finita, non ero più utile.
Lo spietato mio padrone, oltre a buttarci in un pozzo, usava il ′′metodo del pianista”, che consiste nel posizionare una corda sul collo e tirarla fino a quando non ci si regge in piedi con le gambe posteriori. Quando la stanchezza vince, lui stesso si impicca. Un metodo barbaro, atroce e crudele, ma reale. L’ho sofferto io stesso sulla mia carne. Era notte, il mio padrone mi ha legato la corda al collo, mi ha lasciato appeso in modo che le unghie delle mie gambe posteriori appena sfioravano il pavimento ed è scomparso nel suo quad. Non so quante ore sono stato così, ma la mattina del giorno dopo, il destino mi aveva serbato qualcosa di completamente diverso.

L’allarme è stato dato da un cane, il quale ha iniziato ad abbaiare disperatamente quando mi ha visto. Era accompagnato da due ragazze che si sono precipitati non appena mi hanno visto. Erano disperati, ricordo che quella che mi ha preso in braccio tremava addirittura più di me e gridava all’altra: ′′ È vivo, è vivo, slegalo, corri, slegalo, sbrigati, togligli la corda, tirala fuori, è vivo!”
Sì, ero terrorizzato, ma respiravo ancora. Mi hanno lasciato a terra con una delicatezza a me sconosciuta fino a quel momento, mi hanno coperto con le loro giacche e, per la prima volta nella mia vita, la mano di un essere umano mi ha accarezzato la faccia. Entrambe piangevano“.

FOTO: Martina Confalone

Associazione “Il Vento dei Gitani”, Contigliano – Rieti

https://m.facebook.com/Il-Vento-Dei-Gitani-109647048072003/


~ LA PUTTANA VITA DI UN LEVALGO, Esther Cayuela © – Traduzione di Spiriti Ribelli.

National Geographic si è occupato del problema: https://www.nationalgeographic.com/photography/proof/2015/08/21/restoring-dignity-to-spains-mistreated-hunting-dogs/

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